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Santi del 30 Marzo

Il mio Santo > I Santi di Marzo

*Beato Amedeo IX di Savoia - Duca, Terziario Francescano (30 Marzo)

Thonon, Savoia, 1° febbraio 1435 - Vercelli, 30 marzo 1472
Amedeo nasce da Anna di Lusignano e da Ludovico, duca di Savoia, il 1° febbraio 1435.  
Il suo matrimonio fu combinato per necessità politiche, infatti sposò Iolanda di Valois, figlia di Carlo VII di Francia.
I due però si trovarono; avevano soprattutto in comune una fede profonda e sapevano condividere tutto, dalla preghiera al governo dello stato. Amedeo soffriva di epilessia e questo
gli causò parecchie difficoltà.
Pur essendo un propugnatore di una crociata per liberare Costantinopoli dai Turchi, fu fondamentalmente un pacifista, era anche molto generoso con i poveri che spesso erano suoi commensali.  
Edificò chiese e monasteri.
Aggravandosi il suo male nel 1469 abdicò in favore di Iolanda, ma i suoi fratelli e i nobili lo assediarono al punto che per liberarlo dovette intervenire Luigi XI. Morì il 30 marzo 1472 a Vercelli.  
Patronato: Valle Chisone - Movimento Culturale
Etimologia: Amedeo = che ama Dio, dal latino
Emblema: Collare dell'Ordine della Santissima Annunziata
Martirologio Romano: A Vercelli, Beato Amedeo IX, duca di Savoia, che, durante il proprio governo, favorì in ogni modo la pace e sostenne incessantemente con i mezzi materiali e con l’impegno personale le cause dei poveri, delle vedove e degli orfani.  
Amedeo nacque il 1° febbraio 1435 nel castello di Thonon-les-Bains, sulle rive del lago di Ginevra in Alta Savoia,  da Anna di Lusignano e dal duca Ludovico I di Savoia, figlio del prmo duca sabaudo Amedeo VIII, antipapa col nome di Felice V e poi riconciliatosi con la Chiesa.
Sin da bambino fu promesso in sposo a Jolanda di Valois, figlia del re Carlo VII di Francia, per cementare l'amicizia tra i due paesi.
Amedeo crebbe diventando un bel ragazzo, purtroppo soggetto a crisi epilettiche, che egli accettò quale correzione all’inevitabile adulazione da parte dei cortigiani di suo padre, nonchè come un’opportunità per sentirsi a più stretto contatto con Dio.
La partecipazione quotidiana all’Eucaristia e la preghiera personale rappresentarono sempre la sua fonte di forza.
Amedeo e Jolanda si sposarono nel 1452 e la coppia si ritirò nella relativamente quieta provincia di Brescia, territorio assegnatogli oltre al governatorato del Piemonte.
Ciò suscitò le ire di suo fratello Filippo nei suoi confronti, che quasi si preparò ad attaccare Amedeo, se loro padre non lo avesse arrestato.
Nacquero vari figli: Anna, Carlo (Principe di Piemonte), Filiberto I (Duca di Savoia), Bernardo (morto infante), Carlo I (Duca di Savoia), Giacomo Luigi (Conte di Ginevra e di Gex), Maria (contessa di Neuchàtel), Ludovica (venerata come “Beata”) e Gian Claudio (morto ancora in fasce).   
Tutto sommato questo matrimonio combinato si rivelò dunque dei più felici, poiché Jolanda si interessava allo stesso tempo delle pratiche religiose e del governo dello stato, alleviando le fatiche del consorte, che cominciava a manifestare i sintomi dell’epilessia.
La malattia e la sua vita decisamente inclinata al trascendente procurarono ad Amedeo numerose difficoltà, poiché più volte i suoi stessi fratelli gli si ribellarono contro e più volte i nobili sabaudi meditarono di sostituirlo con un erede al trono più energico.
Infine però la bontà di Amedeo riuscì pacificamente a prevalere sui suoi nemici.
Questo non significa comunque che Amedeo non fosse pronto a combattere per una giusta causa: nel 1459, infatti, durante il concilio di Mantova indetto da Papa Pio II, il giovane principe fu solerte e fiero fautore di una crociata volta a liberare Costantinopoli, da poco conquistata dai Turchi, e in difesa del Peloponneso.
A tal fine reclutò uomini, armi e denaro.
Nel 1464, alla morte del padre, Amedeo IX assunse il governo del ducato di Savoia.
Immediatamente radunò i  tre Stati per decidere sulla posizione da tenere nella guerra tra Luigi XI e Carlo il Temerario: l’assemblea, conforme al parere di Amedeo e Jolanda, si pronunziò favorevole ad appoggiare il re di Francia, senza comunque combattere in campo aperto il duca di Borgogna.
In cambio di tale atteggiamento, Luigi XI sostenne il cognato contro Guglielmo VIII di Monferrato e Giangaleazzo Sforza.
Anche da quest’ultimo Amedeo venne provocato: alla morte del duca Francesco Sforza, il figlio Giangaleazzo tentò di tornare dalla Francia passando in incognito per la Savoia e venne arrestato.
Nonostante Amedeo lo avesse fatto subito rilasciare, munendolo anche di una scorta, Giangaleazzo non gli fu riconoscente, ma addirittura giunse a scindere l’alleanza che suo padre aveva stipulato con il duca sabaudo.
Era chiaro che Giangaleazzo puntasse solo ad arrivare allo scontro armato, ma Amedeo per riappacificare i loro rapporti gli concesse in sposa sua sorella Bona.
Librò inoltre suo fratello Filippo, per il quale organizzò il matrimonio con Margherita di Borgogna, donandogli i territori brescani e conquistandosi così immancabilmente il suo affetto. Pacifista in politica estera, Amedeo fu un saggio amministratore del suo stato, benvoluto dai sudditi per la sua liberalità e per l’amore che nutriva per i poveri, concretizzato nell’elargizione di ingenti aiuti.
Si narra che, quando un ambasciatore gli domandò se avesse mute di cani e delle razze differenti da quelle del suo padrone, Amedeo mostrò al legato una mensa imbandita sul terrazzo fuori del suo palazzo, alla quale sedevano i poveri e i mendicanti della città: “Queste sono le mie mute ed i miei cani da caccia.
É con l’aiuto di questa povera gente che inseguo la virtù e vado a caccia del regno dei cieli”. L’ambasciatore gli chiese allora quanti secondo lui fossero impostori, approfittatori ed ipocriti, ma Amedeo replicò: “Non li giudico troppo severamente per non essere giudicato severamente da Dio”.
Amedeo fece edificare numerose chiese e monasteri, ad altri foce varie donazioni, tra cui preziosi paramenti per la cattedrale di Vercelli.
Nonostante la sua grande generosità, non ebbe alcun problema economico, anzi grazia ad un’oculata amministrazione riuscì anche a saldare i debiti contratti dai suoi predecessori.
Il suo stile di vita era estremamente austero, lontano dal concedersi qualsiasi privilegio nonostante la sua precaria salute e proprio per tale motivo fece piuttosto credere di dover digiunare.
Con l’aumento della debolezza e l’aggravarsi del male, nel 1469 Amedeo cedette il governo del ducato alla moglie, poiché il figlio maggiore Carlo, l’unico in età di regnare, era morto da  poco.
I nobili però si ribellarono e, alleatisi con i fratelli di Amedeo, lo imprigionarono, finché non intervenne il cognato, Luigi XI, a liberarlo e a sconfiggere definitivamente la fronda dei signori.
Gli ultimi anni della vita di Amedeo IX furono molto penosi per il frequente ripetersi delle crisi dell’epilessia, che egli tuttavia sopportò “come una grazia del Signore”.
Quando si rese conto di essere ormai prossimo alla morte, affidò i figli all’amata moglie ed alla presenza loro e dei ministri pronunciò le sue ultime raccomandazioni: “Siate retti.
Amate i poveri e Dio vi garantirà la pace”, nobilissimo testamento spirituale di un ottimo principe.
Spirò a Vercelli il 30 marzo 1472 e le sue spogli furono inumate nell’antica basilica eusebiana, sotto i gradini dell’altare maggiore.
La pietà popolare non tardò a proclamarlo santo, soprattutto dinnanzi ai miracoli verificatisi per sua intercessione. Il processo ufficiale di canonizzazione si protrasse invece molto a lungo, sino al 3 marzo 1677, quando papa Innocenzo XI confermò il culto del Beato Amedeo IX, fissandone la festa al 30 marzo.
San Francesco di Sales e San Roberto Bellarmino lo additarono come esempio ai sovrani e furono grandi assertori della sua canonizzazione, provvedimento papale ancora oggi atteso.
Oggi le reliquie del Beato riposano nella Cattedrale di Vercelli, più precisamente sopra l’altare della grande cappella di destra, simmetricamente a Sant’Eusebio, patrono del Piemonte.  
Degna collocazione per un sovrano che meriterebbe egli stesso tale titolo, insieme al protovescovo vercellese.  
Bisogna invece purtroppo deplorare l’assenza quasi totale del Beato Amedeo di Savoia dal calendario della   Regione Pastorale Piemontese, non fosse per la memoria facoltativa riservatagli al 28 novembre dalla Diocesi di Pinerolo: il duca soggiornò infatti a lungo a Pinerolo nela palazzo degli Acaja, ebbe come guida spirituale Bonivardo, prima abate dell’Abbadia Alpina di Santa Maria e poi vescovo di Vecelli, ed il Senato di Pinerolo lo elesse patrono   della Valle Chisone.
A Torino, capitale sabauda, il Beato Amedeo è cotitolare della chiesa della Madonna del Carmine, ove è anche custodita una sua reliquia, ed è inoltre venerato in particolare nella cattedrale cittadina, nella chiesa di San Filippo, nella cripta di Maria Ausiliatrice e nelle basiliche collinari della Gran Madre e di Superga.  
Anche un ponte è dedicato alla sua memoria.
Nella vasta iconografia che lo ritrae, il Beato Amedeo è facilmente riconoscibile per il collare dell’Ordine dinastico della Santissima Annunziata.
Ciò lo rende anche facilmente distinguibile dal Beato Umberto III, conte di Savoia, in quanto l’ordine fu fondato solo nel 1362 dal celebre “Conte Verde” Amedeo VI.
Orazione
O Dio, che al beato Amedeo hai dato il coraggio
di anteporre il regno dei cieli
al fascino del potere terreno,
per la sua intercessione concedi anche a noi
di vincere ogni forma di egoismo
per aderire a te con tutto il cuore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Amedeo IX di Savoia, pregate per noi.

*Santi Antonio Daveluy, Pietro Aumaître, Martino Huin, Giuseppe Chang Chu-gi, Tommaso Son Cha-son e Luca Hwang - Martiri (30 Marzo)
Scheda del Gruppo cui appartengono i Santi Antonio Daveluy e Compagni:
“Santi Martiri Coreani” (Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e 101 compagni)

+ Su-Ryong, Corea del Sud, 30 marzo 1866
Martirologio Romano: Nella cittadina di Su-Ryong in Corea, Santi martiri Antonio Daveluy, vescovo, Pietro Aumaître, Martino Luca Huin, sacerdoti, Giuseppe Chang Chu-gi, Tommaso Son Cha-sŏn e Luca Hwang Sŏk-tu, catechista, che per la fede in Cristo morirono decapitati.  
Marie-Nicolas-Antoine Daveluy nacque il 16 marzo 1818 presso Amiens in Francia. Dal 1843 entrò a far parte della Società delle Missioni Estere di Parigi e già l’anno seguente sbarcò a Macao, colonia
cinese, ove il vescovo Ferréol lo convinse ad accompagnarlo in Corea insieme ad un altro sacerdote di tale nazionalità.  
Solo due anni più tardi poté iniziare la sua opera pastorale in quel paese e nel 1856 il vescovo San Simeone Francesco Berneux, futuro martire, lo nominò suo vescovo coadiutore. Oltre a svolgere egregiamente il suo ministero, il Daveluy redasse un dizionario francese-coreano e scrisse la storia del cattolicesimo in terra coreana.
Dopo il martirio del vescovo Berneux, Antoine Daveluy ne fu il successore quale quinto vicario apostolico di Corea. Avrebbe occupato la sede episcopale per soli ventitré giorni: l’11 marzo 1866, infatti, con il suo aiutante Luca Hwang Sok-tu venne arrestato, imprigionato, interrogato e torturato. Al supplizio prese parte anche il sacerdote missionario Pierre Aumaître.
Pierre Aumaître   era nato ad Angouleme in Francia l’8 aprile 1837. Entrato nel seminario delle
Missioni Estere  di Parigi nel 1857, ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1862.
Giunto in Corea l’anno seguente, apprese rapidamente la lingua indigena e si guadagnò l’affetto dei fedeli esercitando il suo ministero a Naep’o.
Allo scoppio della persecuzione anticristiana incoraggiò i cattolici a non temere di dover testimoniare pubblicamente la loro fede ed egli stesso si recò al villaggio ove viveva il vescovo Daveluy per consegnarsi volontario alla polizia.
Dopo aver patito durissime torture, morì all’età di soli ventinove anni.
Martin-Luc Huin  nacque a Guyonville in Francia il 20 ottobre 1836 e, ordinato prete diocesano, si unì poi alle Missioni Estere di Parigi nel 1836.
Intraprese il viaggio verso la Corea con altri confratelli e giunse nel villaggio di Sekori.
Prima di essere martirizzato, all’età di trent’anni, disse: “Mi dispiace morire, non perché sono ancora giovane, ma perché non ho potuto fare nulla per la salvezza dei miei amati coreani”.
Giuseppe Chang Chu-gi era invece nato nel 1802 da una ricca famiglia coreana. All’età di ventisei anni ricevette il battesimo con l’intera sua famiglia dal sacerdote cinese Pacifico Yu Pang-je. Nominato poi catechista, offrì la propria abitazione per aprire un nuovo seminario a Paeron, svolgendovi l’incarico di portinaio per undici anni. Nel 1866 fu arrestato con i missionari, ma il rettore ottenne il suo rilascio. La libertà durò soli cinque giorni, dopo i quali venne nuovamente
catturato. Dinnanzi al governatore della regione ammise di essere il proprietario dell’edificio ospitante il seminario e rifiutò di abiurare la fede per salvarsi la vita. Fu allora inviato a Seoul e torturato. Aveva l’età di sessantaquattro anni.
Tommaso Son Cha-son,   nato a Deoksan nel 1839, era anch’egli un laico coreano impegnato a collaborare con I missionary nella diffusione della fede catolica nel suo paese.
Luca Hwang Sok-tu   nacque a Yonp’ung nel 1811, figlio unico di una famiglia benestante. Diretto a Seul per sostenere degli esami, venne a conoscenza della fede cattolica grazie ad una persona che incontrò strada facendo. La sua caparbietà lo portò a scontrarsi con la famiglia pur di abbracciare il cristianesimo, convincendo poi anche i familiari al grande passo.
Divenne catechista ed insegnante di letteratura cinese. Con il vescovo Berneux scrisse anche
alcuni  libri ed in seguito fu assistente del suo successore, monsignor Daveluy. Con questi fu infine arrestato ed andò incontro a Cristo all’età di cinquantaquattro anni.
I sei personaggi citati, dietro loro esplicita richiesta, subirono il martirio per decapitazione il 30 marzo 1866, Venerdì Santo.
Alla loro beatificazione, celebrata nel 1968, è seguita infine la canonizzazione nel 1984 ad opera di Papa Giovanni Paolo II, durante il suo viaggio apostolico in Corea.
In tale occasione il Sommo Pontefice propose alla venerazione da parte della Chiesa universale questi gloriosi martiri, unitamente ad un folto gruppo di cattolici che in tempo di persecuzione non esitarono ad effondere con il loro sangue la terra coreana affinché divenisse seme di nuovi cristiani.  

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Antonio Daveluy, Pietro Aumaître, Martino Huin, Giuseppe Chang Chu-gi, Tommaso Son Cha-son e Luca Hwang, pregate per noi.

*San Clino (o Clinio) - Abate (30 Marzo)
m. 1030 circa

Martirologio Romano: Presso Aquino nel Lazio, San Clinio, abate del monastero di San Pietro della Foresta.
Il Baronio pose Clino nel Martirologio Romano al 30 marzo basandosi su di una comunicazione del vescovo di Aquino, Flaminio Filonardi.
Né i Bollandisti, né il Ferrari, nella compilazione del suo Catalogus Sanctorum Italiae, poterono avere questa comunicazione; tuttavia, il Ferrari riuscì a consultare alcune memorie della Chiesa di Aquino, da cui raccolse brevi notizie intorno al Santo.
Clino era di nazionalità greca; fu monaco e successivamente abate nel monastero basiliano di San Pietro della Foresta, tra Pontecorvo e Rocca Guillermo (attualmente chiamata Esperia) nei primi decenni del sec. XI; infatti, il suo nome figura in un atto di donazione del 1030 da lui sottoscritto.
Più tardi, nella seconda metà del sec. XI, il monastero passò sotto quello di Montecassino, per cui il Ferrari dice Clino monaco cassinese.
A S. Pietro della Foresta Clino, illustre per santità e miracoli, morì prima del 1050; il suo corpo fu trasferito nella chiesa di S. Maria di Rocca Guillermo (Esperia), dove è festeggiato come patrono principale il 30 marzo.

(Autore: Benedetto Cignitti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Clino, pregate per noi.

*Beato Damiano - Eremita Camaldolese e Cardinale (30 Marzo)
XIII sec.  
Il Beato professò la vita eremitica giovanissimo a Fonte Avellana sotto il magistero dello zio San Pier Damiano che poi lo inviò a Parigi a compiervi il trivio e il quadrivio.
Coltivò eroicamente la castità; fu così austero che lo zio dovette intervenire perché si mitigasse.
Divenne Priore dell’Eremo e fu poi anch’egli Cardinale.
Il menologio camaldolese lo ricorda al 30 marzo.

(Autore: Don Marco Grenci - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Damiano, pregate per noi.

*Beato Dodone di Haske - Premostratense (30 Marzo)

+ Hanske, 30 marzo 1231
Giovane pio e timorato di Dio, dopo la morte di suo padre, Dodone fu costretto contro la sua volontà al matrimonio, ma qualche anno più tardi abbracciò la vita religiosa, andandosi a ritirare nell’abbazia premostratense di Mariengaard, mentre sia la moglie sia la madre entravano nel vicino monastero di Bethlehem.
Desideroso di servire il Signore in solitudine, chiese all’abate Siardo di potersi rifugiare in qualche luogo appartato, per cui venne inviato a Bakkeveen, dove prese a
condurre una vita di rigida disciplina, abbandonandosi a lunghe veglie e ad estenuanti digiuni e mortificando il suo corpo con dolorosi supplizi.
La fama di santità, che si era andata via via acquistando, richiamò su di lui l’attenzione di molti infermi, che andavano a visitarlo fiduciosi di essere risanati, verificandosi in molti casi miracolose guarigioni.
Sulla fine del 1225 o al principio dell’anno successivo ottenne di trasferirsi nel romitaggio di Haske, ma anche lì venne raggiunto da quanti speravano di ottenere dal Signore, per suo tramite, la grazia di guarire dai loro mali.
Secondo una notizia del contemporaneo Tommaso Cantimpré, Dodone avrebbe lasciato per qualche tempo il suo romitaggio di Haske per recarsi a predicare tra i suoi Frisoni onde esortarli ad abbandonare il barbaro costume dell’odio ad oltranza e della vendetta personale.
Senza alcun fondamento, invece, il domenicano Francois-Hyacinthe Choquet lasciò scritto nella sua opera “Sancti Belgi ordinis Praedicatorum” che Dodone era appartenuto all’Ordine di San Domenico.
Il 30 marzo 1231, mentre era assorto in preghiera nel suo eremo di Hanske, Dodone perì tragicamente travolto nel crollo della sua cella, rovinatagli improvvisamente addosso.
Subito dopo la morte sembra gli siano comparse le stimmate, che rimangono tuttavia molto dubbie. Sulla sua tomba ad Haske i Premostratensi eressero una loro casa e la chiesa di Nostra Signora di Rosendaal.
Oltre che là, Dodone è venerato anche a Bakkeveen; la festa ricorre il 30 marzo.  

(Autore: Niccolò Del Re - Fonte: Enciclopedia dei Santi)  
Giaculatoria - Beato Dodone di Haske, pregate per noi.

*San Donnino - Martire in Macedonia (30 Marzo)
sec. IV
Martirologio Romano:

A Salonicco in Macedonia, ora in Grecia, San Donnino, martire.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Donnino, pregate per noi.

*Beato Gioacchino da Fiore (30 Marzo)

Celico, Calabria, 1130 c. - Fiore, Calabria, 30 marzo 1202
Gioacchino da Fiore nacque a Célico (Cosenza) intorno al 1130, da un'umile famiglia d'agricoltori o, secondo altri, da un notaio.
Dopo aver visitato la Palestina, si fece frate cistercense e in seguito fu nominato abate. Tra i vari monasteri di cui fu ospite si ricorda l'abbazia di Casamari.
In seguito ad una crisi spirituale, abbandonò l'ordine e dopo un periodo di eremitaggio fondò la congregazione florense, che prende titolo dal monastero di san Giovanni in Fiore, sulla Sila, dove ebbe sede, e che nel 1570 confluì nell'ordine dei cistercensi.
Gioacchino morì intorno al 1202, secondo alcuni a Pietralta o Petrafitta, secondo altri a Corazzo o S. Martino di Canale o San Giovanni in Fiore.
La sua morte avvenne quando san Francesco, nella malattia della prigionia a Perugia, concepiva i primi germi della  conversione tutta basata sul principio di povertà.
A Gioacchino è attribuita la predizione degli ordini francescano e domenicano, nonché dei colori dei relativi abiti.
Nell'ordine francescano si videro praticamente realizzate le aspettative di Gioacchino; e i
francescani rigorosi (veri e propri gioachimiti) si dissero "spirituali" con tipico termine gioachimita dedotto dalla profezia relativa alla Terza Età, da lui detta "dello Spirito Santo", un'Età di rigenerazione della Chiesa e della società, col ritorno alla primigenia povertà e umiltà.
Gioacchino da Fiore può essere definito monaco, abate, teologo, esegeta, apologeta, pensatore, riformatore, mistico, filosofo, veggente, asceta, profeta. Da un lato scriveva e predicava, dall'altro si macerava in incredibili penitenze.
Nel 1215 il Concilio Lateranense IV condannò una sua opinione relativa al teologo Pietro Lombardo, ma salvaguardò la persona di Gioacchino, perché egli aveva ribadito più volte la sua adesione alla dottrina cattolica e aveva chiesto d'essere corretto dai suoi confratelli o dalla Chiesa stessa, ordinando che tutti i suoi scritti venissero sottoposti al vaglio della Santa Sede e dichiarando di ritenere validi solo quelli che la Chiesa stessa avrebbe approvato. Fra le sue opere è molto importante il Liber figurarum, in cui egli spiega la dottrina cattolica per mezzo di figure simboliche (due delle quali ... quella del drago a sette teste e quella dei tre cerchi trinitari ... sono presentate in questo sito, accanto alla miniatura di Gioacchino con l'aureola di santo presente nel manoscritto Chigi A.VIII.231 della biblioteca vaticana). Tale Liber è notevole anche dal punto di vista artistico: lo stesso Gioacchino, infatti, fu ritenuto bravo pittore, tanto che sono attribuite a lui l'ideazione e la realizzazione dei mosaici della basilica veneziana di San Marco.
Subito dopo la sua morte, la vox populi lo proclamò santo e i seguaci inviarono alla Santa Sede la documentazione dei numerosi miracoli, ora ripubblicati da Antonio Maria Adorisio. Ciò al fine d'avviare il processo di canonizzazione.
Se da una parte la memoria della santità di Gioacchino fu inquinata da errate interpretazioni  della sua dottrina, dovute sia ad avversari sia a seguaci  troppo zelanti, nonché dall'attribuzione a lui di false profezie ed opinioni teologiche, dall'altra il papa Onorio III con una bolla del 1220 lo dichiarò perfettamente cattolico e ordinò che questa sentenza fosse divulgata nelle chiese. Il fervido culto popolare di Gioacchino da Fiore si diffuse presto a largo raggio. Dante Alighieri lo collocò fra i beati sapienti con  queste parole: "E lucemi da lato / il calabrese abate Gioacchino / di spirito profetico dotato" (Par. XII). Inoltre Gioacchino è presentato col titolo di beato negli Acta Sanctorum compilati e pubblicati dai gesuiti bollandisti nel 1688, nonché in dizionari ed enciclopedie varie.
E nel rituale dei monaci florensi esisteva la messa in onore del beato Gioacchino che veniva celebrata il 30 marzo (giorno della sua morte), il 29 maggio e in altre occasioni, come pure esisteva un'antifona dei vespri in cui si esaltava il suo spirito profetico (frase poi tradotta da Dante nella Divina Commedia). Ciò ha fatto sì che ... a quanto scrivono Emidio De Felice e Orietta Sala nei loro dizionari d'onomastica ... si deve al suo carisma la diffusione in Italia del nome personale Gioacchino.
Le sue spoglie ... di cui recentemente è stata fatta una ricognizione ... si trovano nella cripta dell'abbazia di S. Giovanni in Fiore, comune che ha preso il nome proprio da tale abbazia. Nel 2001 l'arcivescovo di Cosenza-Bisignano mons. Giuseppe Agostino ha riaperto il processo di canonizzazione per portare presto Gioacchino da Fiore alla piena gloria degli altari e ... si ritiene ... anche al titolo di "dottore della Chiesa".
Scritti di Carmelo Ciccia su Gioacchino da Fiore:
a -  Dante e Gioachino da Fiore, in "La sonda", Roma, dic. 1970, poi incluso nel libro: C. Ciccia, Impressioni e commenti, Virgilio, Milano, 1974
b - Attualità di Gioacchino da Fiore, in "Silarus", Battipaglia (SA), genn.-febbr. 1995
c - Dante e le figure di Gioacchino da Fiore, in Atti della "Dante Alighieri" a Treviso, vol. II, Ediven, Venezia-Mestre 1996
d - Dante e Gioacchino da Fiore, Pellegrini Editore, Cosenza, 1997, pagg. 160  
e - Gioacchino da Fiore, "Avvenire", Roma, 22.XI.1997
f - Un'opera di giustizia storica da parte della Chiesa ! L'auspicata beatificazione di Gioacchino da Fiore, "Parallelo 38", Reggio Calabria, genn. 1998
g - Dalla parte degli studiosi / Il veltro di Dante e Gioacchino da Fiore, "Parallelo 38", Reggio Calabria, mag. 1998
h - Padre Pio e l'abate Gioacchino, "Il corriere di Roma", 30.I.1999
i - Recensione a Gioacchino da Fiore, invito alla lettura di Gian Luca Potestà, "La voce del CNADSI", Milano, 1.I.2000
l - Pio IX e Gioacchino da Fiore, "Il corriere di Roma", 29.II.2000
m - Utinam Ioachimus de Flore quam primum beatus declaretur, "Latinitas", Città del Vaticano, sett. 2000
n - È ingiusto emarginare Gioacchino da Fiore, "Il gazzettino", Venezia, 29.XI.2000
o - La santità di Gioacchino da Fiore, "Talento", Torino, apr.-giu. 2001, poi incluso nel libro: C. Ciccia, Allegorie e simboli nel Purgatorio e altri studi su Dante.
(Autore: Carmelo Ciccia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Gioacchino da Fiore, pregate per noi.

*San Giovanni Climaco - Abate (30 Marzo)

Nato prima del 579, località ignota - Morto sul Monte Sinai ca. 649
In greco, «climaco» significa «quello della scala». Così è soprannominato Giovanni, monaco e abate, perché ha scritto una famosissima guida spirituale in greco: «Klimax tou Paradeisou», ossia «Scala del Paradiso».
Ma di lui abbiamo scarse notizie: incerte le date di nascita e di morte, sconosciuta la famiglia (sappiamo però di un fratello, Giorgio, anche lui monaco). Lo troviamo nella penisola del Sinai, monaco a vent’anni, tra molti altri, chi legato a un centro di vita comune, chi invece isolato in preghiera solitaria.
Lui sperimenta entrambe le forme di vita, e poi si fissa nel monastero di Raithu, nel sud-ovest della regione. Ma verso i 60 anni lo chiamano a guidare come abate un altro grande e più famoso cenobio: quello del Monte Sinai. E lì porta a termine la «Scala», che diventerà popolarissima. Sarebbe morto nel 649. (Avvenire)

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Emblema: Bastone pastorale, Scala
Martirologio Romano: Sul monte Sinai, San Giovanni, abate, che scrisse per l’istruzione dei monaci il celebre libro intitolato «La Scala del paradiso», nel quale presentò un cammino di perfezionamento spirituale nella forma di una salita di trenta gradini verso Dio, meritando per questo il soprannome di Clímaco.  
In greco, “climaco” significa “quello della scala”. Così è soprannominato Giovanni, monaco e abate, perché ha  scritto una famosissima guida spirituale in greco: Klimax tou Paradeisou, ossia “Scala del Paradiso”.
Ma di lui abbiamo scarse notizie: incerte le date di nascita e di morte, sconosciuta la famiglia (sappiamo però di un fratello, Giorgio, anche lui monaco).
Giovanni vive nel tempo in cui l’Italia è spartita tra Longobardi e Impero d’Oriente; i rissosi discendenti di Clodoveo sono padroni dell’antica Gallia, che ormai è terra dei Franchi, Francia; i re visigoti governano la Spagna. E questo è anche il tempo in cui dall’Arabia profonda emerge la figura di Maometto (570/8-632).  
Giovanni, eccolo: lo troviamo nella penisola del Sinai, monaco a vent’anni, tra molti altri, chi legato a un centro di vita comune, chi invece isolato in preghiera solitaria. Lui sperimenta entrambe le forme di vita, e poi si fissa nel monastero di Raithu, nel sud-ovest della regione. Ma verso i 60 anni lo chiamano a guidare come abate un altro grande e più famoso cenobio: quello del Monte Sinai.
E lì, stimolato dall’abate di Raithu, porta a termine la “Scala”, che diventerà popolarissima, tradotta in latino, siriaco, armeno, arabo, slavo. Giovanni non si muove dal monastero, e la sua fama corre invece per il mondo cristiano, grazie al libro con i suoi insegnamenti, che non cercano davvero la popolarità facile, e non fanno sconti. Se qualcuno crede che fare il monaco sia un devoto passatempo, Giovanni lo raddrizza bruscamente: la vita del monaco, scrive, dev’essere "una costrizione incessante sulla natura e una costante influenza sui sensi". Ma suscita pure grandiose speranze quando afferma che le lacrime del pentimento hanno il valore quasi di un nuovo battesimo.  
Alla “Scala” egli aggiunge poi un breve testo-guida per i superiori, forse ispirato a un’opera simile: la Regula pastoralis di papa Gregorio Magno, tradotta in greco ad Antiochia.  
Papa Gregorio fa in tempo a conoscere Giovanni da lontano: gli scrive una lettera di elogio, e lo aiuta a ingrandire un suo ospizio per pellegrini, mandandogli il denaro necessario per quindici nuovi letti, e fornendo direttamente le coperte.
Giovanni Climaco insegna nel suo monastero a viva voce. Ma attraverso il libro raggiunge sempre nuovi e sconosciuti discepoli, in Oriente e Occidente.  
La “Scala” è cercata e studiata per l’efficace chiarezza della sintesi dottrinale e per il valore delle esperienze di Giovanni in prima persona. Secondo studi recenti, egli sarebbe morto nel 649, anche se non tutto è certo.  
Certo e stimolante, invece, è un fatto: su di lui i cristiani d’Oriente e d’Occidente sono stati sempre concordi: ancora oggi celebrano la sua festa nello stesso giorno.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Climaco, pregate per noi.

*San Giovanni Gbec'i - Eremita (30 Marzo)

Soprannominato gbec’i ,cioè “abitante del pozzo”. Sarebbe figlio di una vedova ricca e pia, nato a Cesarea Marittima.
Durante le persecuzione contro i cristiani viveva nascosto con la madre e la sorella. Un giorno si imbatté in un vecchio che gli consigliò di fuggire le tentazioni del mondo ritirandosi nel deserto.
Giovanni , col permesso della madre, seguì il consiglio e, a 15 anni, lasciò la Palestina e si recò in Egitto dove incontrò un eremita, Parmuteo, di cui divenne discepolo Avendo trovato nel deserto un pozzo asciutto vi si calò dentro e visse lì per dieci anni.
Un eremita di nome Criso venne a visitarlo e Giovanni lo accolse narrandogli la sua vita. Morì a 25 anni e fu sepolto da Criso nel pozzo stesso. É ricordato il 30 marzo.

(Autore: Paola Cristofari - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Gbec'i, pregate per noi.

*Beato Gregorio Ascissio - Mercedario (30 Marzo)
+ 1600
Nativo di Valenza (Spagna), il Beato Gregorio Ascissio, entrò nell’Ordine Mercedario nell’anno 1540.
Fu celeberrimo dottore in medicina e conoscitore della Sacra Scrittura, praticò tutte le virtù umiliandosi come un peccatore e mortificandosi con estremo rigore.
Allontanò le malattie sia dalle anime che dai corpi e restituì soprattutto la salute spirituale predicando instancabilmente.
Nel 1600, sotto il generalato del Venerabile Pietro Sorell, morì santamente nel convento di Vera Cruz in Salamanca dove sono note le sue eroiche virtù e lì fu sepolto. L’Ordine lo festeggia il 30 marzo.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -  Beato Gregorio Ascissio, pregate per noi.

*San Julio Alvarez Mendoza - Martire Messicano (30 Marzo)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Santi Martiri Messicani" (Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni) - 21 maggio - Memoria Facoltativa  
"Martiri Messicani"

Emblema: Palma
Martirologio Romano: Nel territorio di San Julián nella regione di Guadalajara in Messico, San Giulio Álvarez, sacerdote e martire, che, durante la persecuzione contro la religione, testimoniò con l’effusione del sangue la sua fedeltà a Cristo Signore e alla sua Chiesa.
Nato a Guadalajara, Jalisco il 20 dicembre 1866.
Parroco di Mechoacanejo, Jalisco (Diocesi di Aguascalientes).  
In questo luogo trascorse tutta la vita sacerdotale.
Parroco affettuoso, padre ed amico dei bambini.
Povero che visse tra i poveri.
Sacerdote semplice, insegnò alcuni piccoli lavori affinché la gente potesse sopravvivere.
Il 30 marzo 1927 fu posto su con cumulo di spazzatura per essere fucilato e disse dolcemente: "Sto per morire innocente.
Non ho fatto nessun male. Il mio delitto è quello di essere ministro di Dio.
Io vi perdono". Incrociò le braccia ed attese la scarica.

(Autore: Mons. Oscar Sánchez Barba, Postulatore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Julio Alvarez Mendoza, pregate per noi.

*San Leonardo Murialdo - Sacerdote (30 Marzo)
Torino, 26 ottobre 1828 - 30 marzo 1900
Leonardo Murialdo nasce a Torino il 26 ottobre 1828 da una famiglia borghese. Studia dai padri Scolopi di Savona e alla Regia Università di Torino laureandosi in Teologia.
Viene ordinato sacerdote nel 1851 e dedica i primi 14 anni del suo ministero ai giovani torinesi nell'oratorio di San Luigi a Porta Nuova.
Nel 1867 fonda la confraternita laicale di San Giuseppe per aiutare i ragazzi poveri e abbandonati.
Nel 1871 dà vita all'Unione operai cattolici di cui diventa successivamente assistente ecclesiastico. È anche il fondatore dell'Associazione della Buona stampa e tra gli ideatori del giornale «La voce dell'operaio».
Viaggia spesso nel Sud Italia per conoscere le realtà assistenziali delle altre città. Muore nel capoluogo piemontese, colpito dalla polmonite, il 30 marzo 1900. Viene beatificato da Paolo VI nel 1963 e canonizzato nel 1970. (Avvenire)

Etimologia: Leonardo = forte come leone, dal latino e dal tedesco
Martirologio Romano: A Torino, San Leonardo Murialdo, sacerdote, che fondò la Pia Società di San Giuseppe, perché i bambini abbandonati potessero fare l’esperienza della fede e della carità cristiana.  
Leonardo Murialdo nacque il 26 ottobre 1828 nel cuore di Torino, in una famiglia benestante che contava ben  nove figli. Orfano di padre a cinque anni, crebbe in un contesto familiare cristianamente impegnato, nonostante l’acceso anticlericalismo di quei tempi.
La sofferenza per la mancanza del padre gli procurò una grande sensibilità che tramutò, una volta sacerdote, in paternità spirituale per i più giovani.
Nadino, come veniva chiamato, ricevuta in casa una prima istruzione, entrò nel 1836 col fratello Ernesto nel Collegio degli Scolopi di Savona dove ricevette una formazione umana e religiosa che gli sarà fondamentale per tutta la vita.
Sentì in quegli anni la chiamata al sacerdozio, contrastata però da una grave crisi personale. Tornato a Torino, nel 1845 si iscrisse alla facoltà teologica dell’Università come chierico esterno, secondo l’uso di quei tempi per gli appartenenti alle famiglie agiate.
Persa la madre un anno prima di laurearsi, venne ordinato prete il 20 settembre 1851 nella chiesa della Visitazione.
Il giovane Don Murialdo iniziò subito il suo apostolato nel povero quartiere Vanchiglia presso l’Oratorio dell’Angelo Custode, fondato una decina d’anni prima dal santo sacerdote Giovanni Cocchi
e diretto dal cugino Teologo Roberto Murialdo. Era il primo oratorio della città.
Le miserie cui provvedere erano innumerevoli, capitò pure che genitori morenti affidassero al giovane prete i figli perché li crescesse.
Un giorno, incontrato uno spazzacamino disperato, lo ospitò in casa propria.  
La Torino dell’Ottocento, negli anni del Risorgimento, vide intrecciarsi le vicende dei suoi santi e due apostoli della gioventù come Don Bosco e Don Murialdo non potevano non incontrarsi. Nel 1857 il santo di Valdocco incaricò Don Leonardo della direzione dell’Oratorio di S. Luigi, presso la Stazione di Porta Nuova.
Nel 1865 il Murialdo avvertì la necessità di approfondire gli studi di teologia morale e di diritto canonico e andò a Parigi, al seminario di Saint Sulpice, entrando in contatto con le realtà educative e sociali della capitale francese, tra cui le Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli.
Soggiornò poi brevemente anche a Londra. In un discorso di quell’anno tenuto ad una Conferenza di S. Vincenzo disse: “Il laico, di qualsiasi ceto sociale, può essere oggi un apostolo non meno del prete e, per alcuni ambienti, più  del prete”.  
Tornò a Torino nel 1866 e gli fu proposta la direzione del Collegio Artigianelli, dove i giovani venivano istruiti e preparati a un mestiere.  
Sarà il maggiore impegno della sua vita, che porterà avanti per trentaquattro anni a costo di enormi sacrifici. L’anno successivo, con alcuni collaboratori, tra cui il Servo di Dio Don Eugenio Reffo, Leonardo Murialdo diede inizio alla Confraternita laicale di San Giuseppe.
Lo scopo era di aiutare la gioventù povera e abbandonata, non pensando solo ai bisogni del momento, ma guardando alle necessità future. Per lo stesso motivo nel 1870 assunse la direzione dell’Oratorio di San Martino.
Il mondo operaio costituiva l’altra emergenza sociale cui provvedere. San Leonardo rispose anche in questo caso in modo lungimirante, puntando a formare tra gli operai un senso di mutua solidarietà che li rendesse coscienti dei propri diritti.
Si impegnò per i disoccupati, per le donne e i ragazzi che lavoravano in fabbrica, organizzando l’Unione degli Operai Cattolici (1871) di cui fu poi assistente ecclesiastico.
Nello stesso anno fu tra i promotori delle biblioteche popolari cattoliche. Fondò l’Associazione della Buona Stampa e nel 1876 fu tra gli ideatori, con il Venerabile Paolo Pio Perazzo, del giornale “La Voce dell’Operaio”, che oggi è il settimanale diocesano “La Voce del Popolo”.
Viaggiò spesso nel Sud d’Italia per conoscere le realtà assistenziali delle altre città. Il 19 marzo 1873, festa del Santo Patriarca di cui era grande devoto, fondò la Pia Società Torinese di San Giuseppe.
Nonostante la mole enorme di iniziative era un prete semplice, gioioso nella sua missione.  
Basta leggere alcune frasi tratte dai suoi scritti: “Dio mi ama. Che gioia! Che consolazione! Dio mi ama di amore eterno, personale, gratuito, infinito e misericordioso.  
Dio mi ama. Egli non si dimentica mai, mi segue e mi guida sempre. Lasciamoci amare da Dio!”. In un altro scritto  compendia le verità cristiane con “I tre miracoli dell'amore di Dio.
Il Presepio con Gesù bambino: egli ci insegna umiltà, povertà, rassegnazione. Il Calvario con Gesù crocifisso: è cattedra che insegna le grandi verità dell'amore di Dio per gli uomini e dell'amore degli uomini per Dio. L'Eucarestia con Gesù sacramento: è la perfezione dell'amore; Gesù viene a noi, ci ama, si unisce a noi”.  
Nel 1877 si ammalò gravemente ma Don Bosco gli assicurò che la sua vita sarebbe stata ancora lunga. E così fu.
L’anno dopo fondò una colonia agricola a Rivoli per giovani, cui fecero seguito altre istituzioni simili in vari paesi del Piemonte.
Nel 1883 estese il raggio d’azione della Congregazione oltre i confini regionali, chiamando alla collaborazione diretta quanti si erano formati nelle sue istituzioni.  
Suo grande assillo fu sempre la pesante situazione debitoria del Collegio cui fece fronte, a volte, di tasca propria.
Il figlio della borghesia amico dei poveri organizzò pure collette davanti al celebre Santuario della Consolata.
Infaticabile, partecipò a molti congressi e alcune sue iniziative furono le prime, nel loro genere, in Italia. Promosse un Ufficio di Collocamento cattolico (1876) e inaugurò una Casa-Famiglia per operai (1878).
Fondò una Cassa di Mutuo soccorso (1879), un dopolavoro (1878), l'Opera dei Catechismi serali per giovani operai (1880), la Lega del Lavoro (1899).
Nel 1892 scrisse al sindaco per denunciare lo sfruttamento dei giovani lavoratori, presentando un progetto di riforma che prevedeva l’obbligo scolastico fino ai quattordici anni, l’abolizione del lavoro notturno, il riposo festivo, la giornata lavorativa di otto ore.
Un’attività intensa come quella del Murialdo trovava forza nella preghiera e nella consapevolezza di essere amati da Dio.
Scrisse: “l’uomo che prega è il più potente del mondo”, “la preghiera è l'anima e la forza dell'uomo.  
Sia fatta con umiltà, confidenza, perseveranza.
Non basta, però, pregare, bisogna pregare bene, cioè con il cuore”, “Carità è guardare e dire il bello di ognuno, perdonare di cuore, avere serenità di volto, affabilità, dolcezza.
Come senza fede non si piace a Dio, così senza dolcezza non si piace al prossimo”. Fu grande devoto della Madonna: “Maria, Madre nostra, è la più amante, la più affettuosa delle madri. É madre di Dio, quindi ottiene tutto. E' madre nostra, quindi non ci nega niente.
É madre di misericordia: gettiamoci nelle sue braccia”. Nel Testamento Spirituale parla di un Dio "così buono, così  paziente, così generoso".
Possediamo un ricco epistolario che è una fonte preziosa per conoscere l’attività degli Artigianelli, le continue preoccupazioni economiche affrontate con una grande fiducia nella Provvidenza di Dio, i contatti con molte personalità italiane e straniere.
Amò intensamente la sua città: “Quanto sono riconoscente a Dio di avermi fatto nascere in Italia, a Torino, nella città del Santo Sacramento, della Consolata, nella città di tante opere benefiche, [...].
Quanto ti amo mia Torino”. Nessuna opera benefica della città di quei decenni se non ebbe dal Murialdo l’iniziativa, vide almeno il suo sostegno.
Per estrazione sociale e per preparazione avrebbe potuto intraprendere una carriera ecclesiastica invidiabile, ma  preferì aiutare i poveri, incarnando perfettamente lo spirito della “Rerum novarum” di Papa Leone XIII.
San Leonardo Murialdo morì, a causa di una polmonite, il mattino del 30 marzo 1900.  
Sepolto nel Cimitero Generale, il corpo fu in seguito trasferito nella parrocchia di Santa Barbara. Dal 1971, un anno dopo la canonizzazione, è venerato nel monumentale Santuario della Madonna della Salute in Borgo Vittoria.
La festa nell’Ordine è fissata al 18 maggio e in tale data ne fanno memoria anche la diocesi di Torino e la congregazione dei salesiani.
I Giuseppini e le suore Murialdine, nate alcuni decenni dopo la sua morte, vivono il suo carisma in varie parti d’Italia e del mondo.

(Autore: Daniele Bolognini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Leonardo Murialdo, pregate per noi.

*Beato Ludovico da Casoria - Francescano (30 Marzo)

Casoria, Napoli, 11 marzo 1814 - Napoli, 30 marzo 1885
Nato a Casoria (Napoli) nel 1815, Arcangelo Palmentieri entrò a 18 anni tra i Francescani Alcantarini divenendo fra Ludovico. Per 20 anni insegnò matematica e filosofia a Napoli, tenendo anche la farmacia del convento, che trasferì con sé a Capodimonte.
Nel 1854 iniziò a operare per il riscatto dei bimbi africani dalla schiavitù, accogliendo i primi due, salvati da un prete genovese, Niccolò Olivieri. Ben presto aumentarono e - con l'aiuto di suor Anna Lapini, fondatrice delle Stimmatine - nacque per le bimbe il collegio delle "Morette". Seguirono altri istituti destinati a bimbi in difficoltà. Fondò i cosiddetti Frati Bigi e le suore Elisabettine. Il Vaticano gli affidò la missione di Scellal, in Sudan, che però durò poco. Morì a Napoli nel 1885 ed è beato dal 1993. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Napoli, beato Ludovico (Arcangelo) Palmentieri da Casoria, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che, spinto da ardore di carità verso i poveri di Cristo, istituì le due Congregazioni dei Fratelli della Carità e delle Suore Francescane di Santa Elisabetta.  
Il Beato Ludovico (Arcangelo Palmentieri) nacque a Casoria (NA) l’11-3-1814. Entrò nell’Ordine dei
Frati Minori Alcantarini nel 1832 e dopo gli studi necessari come novizio presso Nola, fu ordinato sacerdote il 4 giugno 1837. Gli fu affidato l’insegnamento della filosofia e della matematica per alcuni anni, nel contempo istituì una farmacia – infermeria per i frati malati e per i sacerdoti poveri del Terz’Ordine, alloggiandoli in un edificio a Scudillo di Capodimonte in Napoli.
Nel 1854 cominciò a dedicarsi su suggerimento del sacerdote genovese padre Olivieri, al riscatto dei bambini  negri venduti come schiavi, l’opera lo appassionò cosicché già nel 1854 poté accogliere i primi due bambini affidatigli dall’Olivieri, Giuseppe Rab e Giuseppe Morgian, con risultati confortanti.
Ideò il progetto che i missionari venissero reclutati fra gli stessi indigeni, con la celebre frase “l’Africa deve convertire l’Africa”.
Ottenute le necessarie approvazioni dai suoi superiori e sotto il beneplacito reale, nel 1856 aveva riunito, nel convento La Palma allo Scudillo, già nove bimbi negri, indirizzandoli agli studi, alcuni di essi furono poi battezzati solennemente dal cardinale arcivescovo di Napoli.
Nel 1857 ottenne che il re Ferdinando II riscattasse 12 bambini, che andò personalmente a prendere ad Alessandria in Egitto. Nel 1860 erano diventati 64 e nonostante le offerte provenienti da ogni parte specie dalla Germania, si vide ben presto che i locali de La Palma ormai erano insufficienti e falliti i tentativi di acquistare un edificio accanto, il re intervenne espropriandolo e donandolo all’Opera.
Allo stesso modo padre Ludovico realizzò per le bimbe di colore, lo stesso progetto in collaborazione con suor Anna Lapini, fondatrice delle Suore Stimmatine. Il collegio delle “ Morette” sorse insieme con la Casa delle Stimmatine, ugualmente a Capodimonte e fu inaugurato il 10 maggio 1859 con 12 bimbe di colore e contemporaneamente vi erano educate fanciulle povere della città.
Seppe muoversi diplomaticamente con la caduta del re Borbone e l’avvento dei garibaldini, benvoluto e considerato da tutti.
Per gestire e sostenere i vari Istituti che in seguito sorsero per gli orfani, sordomuti, rachitici, sofferenti e poveri in genere, fondò due Congregazioni, i Terziari Francescani Regolari detti frati Bigi (dal colore del saio) per gli uomini e la Congregazione delle Elisabettine per le donne.
La Sacra Congregazione di “Propaganda Fide” gli affidò la stazione missionaria africana di Scellal, dove fondò un Istituto di missionari e un ospedale, che purtroppo un anno dopo chiudeva per mancanza di fondi. Morì a Napoli il 30 marzo 1885. Il suo corpo è sepolto presso l’Ospizio Marino di via Posillipo, 24. É stato beatificato da Giovanni Paolo II il 18-4-1993.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ludovico da Casoria, pregate per noi.

*Beato Martino de Salvitierra - Mercedario (30 Marzo)

Maestro dei novizi del convento mercedario di Sant’Antolino in Valladolid (Spagna, il Beato Martino de Salvitierra, fu un insigne Maestro per la santità della sua vita il quale preannunziò la sua morte otto giorni prima e abbracciando la croce si addormentò nel Signore.
L’Ordine lo festeggia il 30 marzo.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Martino de Salvitierra, pregate per noi.

*Santi Martiri di Costantinopoli (30 Marzo)
sec. IV  
Martirologio Romano:
Commemorazione di molti Santi martiri, che a Costantinopoli, al tempo dell’imperatore Costanzo, per ordine del vescovo ariano Macedonio, furono mandati in esilio o torturati con inauditi generi di tortura.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri di Costantinopoli, pregate per noi.

*Sant'Osburga di Coventry - Badessa (30 Marzo)

+ Coventry, Inghilterra, 1018 circa
Martirologio Romano: A Coventry in Inghilterra, Santa Osburga, prima badessa del monastero del luogo.
Nulla sappiamo di questa santa, sebbene la sua esistenza non sia solitamente messa in dubbio dagli studiosi.
É piuttosto dubbia l’esatta collocazione temporale della sua vita: secondo alcuni la data della sua morte si aggirerebbe attorno al 1018, mentre secondo altri studiosi sarebbe vissuta nel VII secolo.
Recenti studi hanno sostenuto che il danese Cnut avesse fondato il monastero femminile di Coventry, ponendovi Osburga quale prima badessa.
Questa versione risulterebbe però strana in quanto furono gli stessi danesi nel 1016 a radere al suolo tale monastero ed il fatto che il nuovo monastero maschile edificato nel 1043 sia stato dedicato ad Osburga può far pensare che ella fosse una santa il cui culto era già ben radicato.  
Il nuovo monastero fu fondato dal cavaliere Leofrico con sua moglie Godiva e nella chiesa abbaziale la tomba di Osburga divenne il fulcro della devozione popolare nei suoi confronti.
Si verificarono così tanti miracoli per sua intercessione che il clero ed i fedeli di Coventry nel 1410 chiesero al vescovo di officiare una celebrazione in suo onore. Da allora la festa della santa fu annualmente osservata in tutto l’arcidiaconato di Coventry.
Durante la rinascita del cattolicesimo inglese nel XIX secolo, la prima chiesa edificata a Coventry per volontà dell’arcivescovo Ullathorne fu dedicata a Santa Osburga.
Il 9 settembre 1845 il nuovo edificio sacro poté essere consacrato al culto divino per mano del cardinale Wiseman e proprio in tale anniversario la santa è ancora oggi ricordata nel calendario diocesano onde evitare la concomitanza con il tempo quaresimale. Nel Martyrologium Romanum permane invece la commemorazione in data 30 marzo.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Osburga di Coventry, pregate per noi.

*San Pietro Regalado da Valladolid - Francescano (30 Marzo)

Valladolid, Spagna, 1390 – Auguile, Spagna, 30 marzo 1456
Francescano e discepolo di Pietro da Villacreces, patrocinò anche dopo la morte di lui, nel 1422, la regola dell’osservanza in Spagna.
Fu canonizzato da Papa Benedetto XIV nel 1746.

Martirologio Romano: Ad Aguilera nella Castiglia in Spagna, San Pietro Regalado da Valladolid, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che fu insigne per umiltà e rigore di penitenza e costruì due celle, in cui dodici frati soltanto potessero vivere nella solitudine.
Pedro Regalado nacque nel 1390 a Valladolid in Spagna da una nobile famiglia di stirpe ebraica. Ben presto rimase orfano di padre ed all’età di tredici anni la madre gli concesse di entrare nel monastero francescano della sua città natale. Non aveva altra ambizione che il condurre una vita di preghiera e penitenza, considerando le visite della madre null’altro che un’inutile distrazione.
Pedro fu conquistato dagli ideali di Pietro da Villacreces, impegnato a ristabilire nella penisola iberica l’osservanza originaria della Regola francescana, e dal 1404 lo seguì nell’eremitaggio di Auguille, ove trovò la solitudine, la povertà ed il clima di preghiera tanto agognati. Si unì a loro anche il giovane Lope de Salinas y Salazar, che insieme a Pietro si impegnò nella fondazione di
nuovi eremitaggi onde evitare di superare la soglia di venticinque monaci in ciascun sito, come consigliato dal loro stesso maestro.
Lope fu poi chiamato a ricoprire la carica di vicario a Juan de Santa Ana, in Castiglia, con giurisdizione sui conventi di Burgos, e fondò prima della sua morte altri sedici eremitaggi. Nel 1414 Pietro da Villacreces dovette partire per partecipare al concilio di Costanza, ove ottenette l’approvazione della riforma da lui intrapresa, e lasciò il Regalado a capo di Auguille. Entrambi poi nel 1422 presero parte al capitolo provinciale, ma qui Pietro da Villacreces morì e Pietro Regalado fu incaricato definitivamente della guida di Auguile.  
Nel 1426 si recò a Burgos onde raccomandare al vecchio amico Lope di non abbandonare l’opera riformatrice intrapresa del loro comune maestro.
Proprio nella via tracciata da quest’ultimo, infatti, Pedro Regalado aveva trovato soddisfatto il suo desiderio di santità: egli non fu infatti né un fondatore né un riformatore, bensì un semplice asceta e contemplativo. Visse in condizioni di penitenza e di povertà estrema, ma divennero proverbiali la sua cura per i fratelli bisognosi ed il suo amore per i malati.
Con il dono delle lacrime si manifestava la sua indole affettuosa e similmente esternava anche il suo amore  bruciante per Dio. Parecchi miracoli compì sulle rive del Duero e con ironia si dice che la sua opera non  consistette in molto di più.
Nel 1427 presso Medina del Campo Pedro Regalado presenziò alla Concordia, una riunione dei seguaci di Villacreces ove si stabilì di rimanere uniti ai frati conventuali. Dal 1442 divenne vicario dei villacreciani e dunque terzo successore del fondatore. Regna incertezza sull’attribuzione dei vari documenti prodotti durante la riforma villacreciana e solamente la prefazione del “Memoriale religionis”, quindici righe in tutto, pare essere stata redatta con certezza dal Regalado.
Sentendo infine avvicinarsi la morte, decise di partire per Burgos nel 1456 per chiedere invano a Lope di accettare il vicariato dei villacreciani. Spirò ad Auguile il 30 marzo 1456.
Non tardarono a verificarsi numerosi miracoli sulla sua tomba e trentasei anni dopo, quando fu riesumato per traslarne le spoglie in chiesa, il suo corpo fu ritrovato incorrotto. Papa Benedetto XIV nel 1746 canonizzò Pedro Regalado da Valladolid iscrivendolo nell’albo dei Santi.
L’iconografia italiana e spagnola ritrae solitamente il Santo nell’atto di distribuire il pane ai poveri richiamando il loro sguardo sul crocifisso.  

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pietro Regalado da Valladolid, pregate per noi.

*San Regolo - Vescovo (30 Marzo)
Martirologio Romano: Ad Senlis nella Gallia lugdunense, nell’odierna Francia, San Regolo, vescovo.  
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Regolo, pregate per noi.

*Beata Restituta Kafka - Vergine e Martire (30 Marzo)
Brno, Repubblica Ceca, 1° maggio 1894 - Vienna, Austria, 30 marzo 1943

Martirologio Romano: A Vienna in Austria, Beata Maria Restituta (Elena) Kafka, vergine delle Suore Francescane della Carità Cristiana e martire, che, originaria della Moravia, svolse servizio di infermiera e,  arrestata durante la guerra dai nemici della fede, morì decapitata.
La sua è l’umile famiglia di un calzolaio con sette figli; lei è povera e perdipiù balbuziente. Anche un po’ testarda, a giudicare almeno dal carattere forte e dal suo modo di fare, sbrigativo e risoluto, che l’accompagnerà per tutta la vita.
A 15 anni vorrebbe continuare a studiare, ma la mandano a far la cameriera; a 18 vorrebbe farsi suora, ma i suoi sono decisamente contrari. Si rassegna così ad aspettare i 20 anni e, quando li raggiunge, scappa di casa per andare in convento.
Le Suore Francescane della Carità Cristiana di Vienna le danno il nome di Suor Restituta e la mandano a fare l’infermiera: è sempre stato quello il suo desiderio più grande, perché le piace servire Gesù nei malati.
Come infermiera ci sa davvero fare: medici e colleghi l’apprezzano e la stimano sia come infermiera di sala operatoria che come anestesista.
Qui e là continua a far capolino quel suo carattere cordiale ma deciso, tanto che Suor Restituta viene presto ribattezzata “Suor Resoluta” . Al letto dei malati, però, nessuno la può superare,
La sua è l’umile famiglia di un calzolaio con sette figli; lei è povera e perdipiù balbuziente. Anche un po’ testarda, a giudicare almeno dal carattere forte e dal suo modo di fare, sbrigativo e risoluto, che l’accompagnerà per tutta la vita.
A 15 anni vorrebbe continuare a studiare, ma la mandano a far la cameriera; a 18 vorrebbe farsi suora, ma i suoi sono decisamente contrari. Si rassegna così ad aspettare i 20 anni e, quando li raggiunge, scappa di casa per andare in convento.
Le Suore Francescane della Carità Cristiana di Vienna le danno il nome di Suor Restituta e la mandano a fare l’infermiera: è sempre stato quello il suo desiderio più grande, perché le piace servire Gesù nei malati.
Come infermiera ci sa davvero fare: medici e colleghi l’apprezzano e la stimano sia come infermiera di sala operatoria che come anestesista.
Qui e là continua a far capolino quel suo carattere cordiale ma deciso, tanto che Suor Restituta viene presto ribattezzata “Suor Resoluta” . Al letto dei malati, però, nessuno la può superare,
perché è di una delicatezza e di una amorevolezza uniche. Scoppia la prima guerra mondiale e suor Restituta è accanto ai feriti , sollecita ad ogni chiamata, pronta per ogni emergenza.
Nel 1938 i nazisti invadono Vienna e sono due tra le prime disposizioni di Hitler che cercano di applicare: far sparire i crocifissi dai luoghi pubblici e allontanare le suore dalle corsie degli ospedali. Suor Restituta, però, è così indispensabile per la sua indiscussa competenza, che più o meno segretamente può continuare  la sua opera di carità al letto dei malati.
Il crocifisso nelle stanze e nelle corsie dell’ospedale diventa invece quasi una questione personale: Suor Restituta, risoluta come sempre, si prende l’incarico di personalmente andare a rimpiazzarli là dove sono stati tolti: sa di rischiare parecchio con quel suo gesto provocatorio, ma intanto più crocifissi vengono eliminati e più lei ne risistema.
Tanto, tra lei e il nazismo c’è un’incompatibilità dichiarata, perché non può condividere l’ideologia di morte e di razzismo che Hitler va professando.
E così la furia nazista si scatena anche su di lei: viene arrestata il mercoledì delle Ceneri del 1942 e messa in prigione, ma nella sua cella continua ad aiutare donne incinte e compagni deperiti, oltre a consolare e sostenere i condannati a morte. Per lei la condanna a morte arriva quasi un anno dopo e viene decapitata il 30 marzo 1943.
Prima di morire chiede al cappellano di tracciarle in fronte il segno della croce: quasi il timbro di autenticità su una vita che si è sempre ispirata al crocifisso. Il 21 giugno 1998 il Papa proclama beata Suor Restituta Kafka, la martire del crocifisso, fissando al 29 ottobre la sua memoria liturgica.  (Autore: Gianpiero Pettiti)
La sua terra di Moravia è soggetta all’imperatore austriaco Francesco Giuseppe: lei, Helene, è la sesta dei sette figli di Anton e Maria Kafka, che nel 1896 si sono trasferiti dalla regione nativa a Vienna, capitale dell’Impero.
Helene si avvia alla professione di infermiera e vuole anche farsi suora. I genitori dicono di no, lei si rassegna ad aspettare i vent’anni, e infine la accolgono le Francescane della Carità Cristiana in Vienna. Qui, come religiosa, prende il nome di sua madre e quello di una martire dei primi secoli. Si chiamerà dunque Suor Maria Restituta.
Abbastanza presto, però, molti cominciano a chiamarla suor Resoluta, per i modi cordiali e decisi e per la sua sicurezza e capacità come infermiera di sala operatoria e come anestesista. Nell’ospedale regionale di Mödling, presso Vienna, la religiosa diventa un’istituzione: per i medici, per le altre infermiere, ma soprattutto per i malati, ai quali sa comunicare con straordinaria efficacia il suo amore per la vita, la sua e quella degli altri, nella gioia e nella sofferenza.
Una donna, diremmo oggi, splendidamente realizzata.
Nel marzo 1938, Hitler manda il suo esercito a occupare l’Austria, a tradimento. Vienna, già capitale di un Impero multietnico e multilingue, si ritrova capoluogo di una provincia del Reich tedesco, sottoposta a brutale nazificazione. Suor Restituta si trova naturalmente, fisiologicamente avversa a tutto questo. E non vuole, non può nasconderlo. Essendo per la vita è contro il nazismo.
A tutti i costi.
E quando i nazisti tolgono il Crocifisso anche dagli ospedali, lei tranquillamente lo va a   rimettere, a  testa alta, sfidando comandi e comandanti.
Non potendola piegare, i nazisti la sopprimono. Arrestata il mercoledì delle Ceneri 1942, è condannata a morte nell’ottobre, poi trascorre 5 mesi nel braccio della morte, e il 30 marzo 1943 muore decapitata.
Alle consorelle ha mandato un messaggio: "Per Cristo sono vissuta, per Cristo voglio morire".
E in faccia agli assassini, prima che il carnefice alzi la mannaia, Suor Restituta dice al cappellano: "Padre, mi faccia sulla fronte il segno della Croce". Papa Giovanni Paolo II l’ ha beatificata il 21 giugno 1998 a Vienna.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Restituta Kafka, pregate per noi.

*San Secondo di Asti - Martire (30 Marzo)
+ Asti, 29 marzo 119 circa
Di lui si hanno solo notizie leggendarie. Nobile pagano di Asti, sembra che andasse nelle prigioni a visitare i martiri cristiani, nei confronti dei quali nutriva grande ammirazione. Grazie a S. Calogero si convertì al cristianesimo.  
A Milano incontrò San Faustino e San Giovita, anch’essi in carcere, dai quali ricevette il battesimo. Amico di Sapricio, prefetto romano di Asti, lo accompagnò a Tortona dove Marciano, vescovo della città, era in attesa di processo.
Per aver sepolto il corpo di Marciano e per aver rifiutato di abiurare la propria fede, fu infine arrestato e martirizzato.
Patronato: Asti
Etimologia: Secondo = figlio secondogenito, dal latino
Emblema: Palma, Spada, Stendardo
Martirologio Romano: Ad Asti, San Secondo, martire.  
San Secondo di Asti fu certamente uno fra i primi martiri in terra piemontese, ma non va confuso con altri due santi omonimi venerati nella medesima regione: San Secondo di Salussola, venerato anche a Torino e Ventimiglia, e San Secondo di Pinerolo, entrambi ritenuti dalla tradizione popolare soldati della Legione Tebea.
Maggior mistero aleggia sull’esistenza terrena del veneratissimo santo astigiano, i cui “Atti” raccolti dai bollandisti in quattro codici lo ritraggono quale uomo profondamente religioso ed assai
famoso in Asti, associandolo però a figure di dubbia storicità.
Secondo sarebbe venuto a contatto con il cristianesimo grazie a San Calogero di Brescia, cui era solito far visita in prigione.
Udendo che era giunto ad Asti il prefetto Sapricio, inviato dall’imperatore Adriano al posto di Antiochio, Secondo si recò da lui per chiedergli per quale buon motivo Calogero fosse stato imprigionato.
Gli fu data quale motivazione che egli insegnava al popolo il disprezzo per i beni materiali, soggiungendo di aver saputo che a Tortona vi era un cristiano di nome Marciano e di aver intenzione di raggiungerlo.
Secondo volle accompagnare il prefetto e Calogerò predisse al santo che sarebbe stato battezzato a Tortona ed al suo ritorno ad  Asti avrebbe subito il martirio. Anche Martiniano, vescovo di Tortona, gli predisse le stesse cose.
Secondo si trasferì poi a Milano, ove incontrò i Santi Faustino e Giovita. Faustino lo battezzò e lo comunicò, affidandogli anche una particola consacrata da portare a Marciano e Calogero, quale segno del suo avvenuto   battesimo.  
Fatto ritorno a Tortona, Secondo andò a trovare Marciano in prigione e gli portò la comunione, chiedendogli anche di pregare per lui.  
Il giorno seguente Marciano fu chiamato a comparire dinnanzi a Sapricio, il quale gli ordinò di offrire sacrifici agli dei, ma il cristiano rifiutò e fu allora fatto decapitare fuori della città.
Sapricio rimase sorpreso alla notizia che Secondo aveva dato sepoltura al corpo del martire  e lo mandò a chiamare, ma questi non si presentò ritenendo il prefetto reo di sangue innocente.
Avendo rifiutato per ben tre volte la convocazione, infine fu allora arrestato ed obbligato a comparire davanti all’autorità, ove non esitò a confermare di essere cristiano.
Venne dunque torturato e rispedito in cella.
Il racconto viene poi condito da elementi fantastici, secondo i quali il giorno seguente Secondo era scomparso ma la cella era chiusa.
Sapricio, sempre più infuriato, diede allora ordine di tornare ad Asti per vendicarsi su Calogero: qui come per miracolo ritrovarono anche Secondo rinchiuso in cella con l’amico.
Entrambi rifiutarono per l’ennesima volta di sacrificare agl’idoli pagani: Calogero fu nuovamente imprigionato e  solo in un secondo momento trovò il martirio presso Albenga sulla riviera ligure di ponente, mentre Secondo fu subito condotto fuori della città e decapitato.
Correva l’anno 119 circa.
Secondo quanto riporta la nuova edizione del proprio piemontese del Messale Romano il tragico eccidio avvenne il 29 marzo del 119/120 ed infatti il Martyrologium Romanum pone la commemorazione di San Secondo al 30 marzo. Nella diocesi e nella città di Asti, che lo venerano quale loro patrono e ne custodiscono le reliquie, è però festeggiato solennemente il primo martedì di maggio.

Orazione
O Dio, ascolta le nostre suppliche,
perché speriamo nella tua misericordia:
per l’intercessione del santo martire Secondo,
donaci il tuo paterno aiuto.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Secondo di Asti, pregate per noi.

*San Verono di Lembeek (30 Marzo)

m. 863 circa
Verono, patrono di Lembeek, e Verona, sua sorella, Santi.

Verono sarebbe vissuto nel sec. IX, ma la prima testimonianza della sua esistenza ci è giunta due secoli dopo per opera del monaco Olberto (m. 1048), abate di Gembloux, famoso fondatore, scrittore e bibliotecario. Ca. il 1020 egli redasse una "Historia inventionis et miraculorum S. Veroni».
Vi apprendiamo che nel 1004 il curato di Lembeek, villaggio situato vicino ad Had nel Brabante, ebbe parecchi avvertimenti in sogno dallo stesso San Verono di non lasciare più oltre dimenticata la sua tomba, di cui gli rivelò il luogo preciso.
Alcuni scavi condotti portarono alla luce il corpo ed anche una piastrina con il nome del santo e la data della sua morte, il 15 delle calende di febbraio (= 18 gennaio).
Le reliquie, piamente raccolte, attirarono numerosi pellegrini e le guarigioni miracolose non cessarono più. Per  maggiore sicurezza le reliquie furono trasportate nel 1012 presso le
canonichesse di San Waudru a Mons.
In seguito la maggior parte di esse fu portata a Lembeek.  
Il mistero che circondava la vita di San Verono suscitò naturalmente alcune leggende: Ludovico II il Germanico (m. 876), re dei Franchi orientali avrebbe avuto, oltre ai figli di cui parla la storia due gemelli da lui chiamati Verono e Verona.
Il primo, disprezzando i piaceri della terra, abbandonò il palazzo dei suoi genitori, partì in pellegrinaggio e giunse a Lembeek. Dopo aver servito come garzone di fattoria durante cinque anni, morì ca. nell'863 avendo appena venti anni.
La festa cade il 31 gennaio e il 30 marzo. Lo si invoca contro il mal di testa. La manifestazione più nota del suo culto a Lembeek è la processione annuale semi religiosa e semi folcloristica, il secondo giorno di Pasqua.
Viene rappresentato come un pellegrino che calpesta con un piede le insegne della regalità.
Avendo appreso in modo soprannaturale la morte del fratello, Verona si mise alla ricerca della tomba di lui. Arrivata a Leefdaal, piccolo villaggio presso Lovanio, le fu indicato il luogo.
Ritornando da Lembeek nella sua patria, Verona prese il velo, fondò parecchie abbazie e divenne badessa.
Sarebbe morta a Magonza nell'anno 870, ma sepolta a Leefdaal. Da tempo immemorabile è venerata in una cappella che porta il suo nome: Vronenberg. Viene invocata contro le febbri. La sua festa cade il 29 agosto.
La sola statua che possediamo la rappresenta come badessa. La sua esistenza è problematica. Tuttavia alcuni scavi condotti nel 1951 nella cappella di Vronenberg portarono alla luce alcune fondamenta risalenti al 900 ca. e un sarcofago carolingio purtroppo vuoto.

(Autore: Karel Van den Bergh – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Verono di Lembeek, pregate per noi.

*San Zosimo di Siracusa - Vescovo (30 Marzo)

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Siracusa, San Zosimo, vescovo, che fu dapprima umile custode della tomba di Santa Lucia, poi abate del monastero del luogo. Zosimo, vescovo (VII secolo) era un giovane monaco cui era stata affidata per la sua inettitudine la custodia  della tomba di Santa Lucia a Siracusa.
Un giorno, desideroso di rivedere i genitori, lasciò il monastero senza avvertire i superiori.
I genitori, vedendolo arrivare con aria di fuggitivo, lo rimproverarono e lo riaccompagnarono al monastero.
Venne perdonato dall'abate e riconsegnato al suo compito di "guardiano della tomba", che tenne a lungo perché considerato incapace di altre e più impegnative mansioni.  
Alla morte dell'abate, i monaci si recarono dal vescovo per conoscere il nome del successore.
Fra loro non c'era Zosimo, rimasto a casa come "inutile".
Quando il vescovo ebbe davanti i monaci, chiese: "Ci siete tutti?". "No, - risposero - a casa c'è il guardiano della tomba di santa Lucia, ma è di poco conto".
"Fatelo venire" ingiunse il vescovo.  
E quando Zosimo arrivò: "Ecco il vostro abate" affermò solennemente il vescovo. Così Zosimo, tra la sorpresa di tutti, divenne abate del monastero dimostrando presto di quanta saggezza e virtù fosse ricco, a tal punto che il popolo lo volle quale proprio vescovo.
Confermato da papa Teodoro, egli rimase sulla cattedra episcopale siracusana dal 647 al 662 guidando la diocesi con bontà e saggezza.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Zosimo di Siracusa, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (30 Marzo)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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